Baltimora,Ferguson, Banlieue: un filo conduttore e uno sfogo – o: I can’t take my eyes off you

Dall’altra parte dell’oceano, forse anche adesso, stanno piantando su un casino che noi nemmeno ce l’immaginiamo. Dall’altra parte dell’oceano è il 1968. Hanno appena ammazzato MLK, la nazione è in subbuglio. Dall’altra parte dell’oceano è il 2015. Hanno ammazzato un ragazzo, nella nazione non è cambiato un cazzo.
E nessuno sta a dire sono STATO io. Nessuno s’è fintamente indignato per poi togliere il freezing al film e riprendere la visione a sinapsi scollegate. Là le cose hanno preso fuoco.
Una cosa insensata, si dice. Troppa violenza, si dice. Sono atti vandalici, si dice.
E allora come si fa a far sbollire una rabbia che hai dentro dalla nascita, perché occupi l’ultimo gradino della scala sociale, perché ogni tanto, per sbaglio, ammazzano un tuo amico, perché la tua prospettiva di vita è pari a zero? Come si fa a far sbollire questa rabbia?
Mi ricordo il caso delle Banlieue. E’ simile. E, anche lì, tutti a dire son criminali.
Cresceteci voi così. Cresceteci voi covando tutta quella rabbia, quella frustrazione. Ingoiando tutte quelle umiliazioni. Dovendo fare lavori di merda per due soldi, in posti frequentati da benestanti che nemmeno ti ringraziano per avergli pulito il cesso. Che nemmeno ti vedono.
Non sappiamo nemmeno cosa si possa provare. Non lo possiamo neanche immaginare. E’ inutile lasciarci andare a commenti empatici, ai vari eh ma c’è da capirli del caso.
Io non comprendo nessuno. Loro con la mia comprensione non ci si puliscono nemmeno il culo.
Io osservo. Guardo. E vedo tanta rabbia della quale non mi stupisco affatto. Perché non è immotivata, non viene dal nulla e ha un’origine ben precisa.
Perché il capitalismo è il sistema delle opportunità per chi il capitale lo possiede, per chi benestante lo è già. Questa è la rivolta degli schiavi, la rivolta degli ultimi. Sono gli uomini e le donne senza volto, che tutti i giorni sfioriamo di passaggio nei cessi dei fast food, nelle mense aziendali, che ci urlano in faccia noi ci siamo rotti il cazzo di morire senza rompervi i coglioni.
Sono gli invisibili che si palesano, che ci ricordano che, nel caso avanzasse qualcosa, ci sarebbero anche loro.
E a me stanno sul cazzo i moralizzatori, quelli che eh ma questi non sono i modi. E cosa mai dovrebbero fare, mettere dei fiori nei loro cannoni? Fare dei comizi pacifici in cui, educatamente e senza disturbare, chiedono, qualora fosse possibile, qualche diritto in più?
Ehi, scusate, se non è troppo disturbo, quest’assemblea plenaria avrebbe deciso che non è molto giusto sparare nella schiena d’un ragazzo disarmato. Sempre se non fosse un problema, sarebbe anche stato deciso che, insomma, non troviamo sia cosa da galantuomini retribuire al di sotto del minimo salariale un onesto lavoratore. Inoltre, a fine seduta,  sempre qualora non arrecasse troppo disturbo, l’assemblea avrebbe deciso di chiedere a Vossignorie se fosse possibile finirla di perire nelle acque del mare nostrum.
Forse così andrebbe meglio a tutti quelli che cianciano sui modi sbagliati.
Il punto è che non ne esistono molti di modi, quando sei incazzato, quando hai fame, quando, praticamente, vivi solo per mantenere chi siede dalla metà in su della piramide e, a volte, nemmeno quello.
In Italia i lavoratori immigrati producono una roba come il dieci per centro del PIL (è un dato non verificato, prendetelo con le pinze) e non si sono mai sentiti dire grazie. Anzi, qualcuno sostiene che dovrebbero tornare a casa loro, perché mica si fa di produrre il dieci per cento del PIL, eh!, è una roba criminali!

Qualcuno sostiene che  a Baltimora stiano esagerando.
Io dico che fanno bene.
Dico che hanno ragione.
Bruciassero tutto, cazzo. Tirassero giù tutto, per Dio.
E non perché sono gli Stati Uniti. Ma, piuttosto, perché che cos’altro potrebbero fare?
Cosa può fare, in concreto, chi in questa giustissima società praticamente non possiede nulla, a parte dar fuoco a tutto quello che ha intorno?
Chi ha studiato storia se li ricorda tutti i vari moti che hanno portato la povera gente a devastare le piazze, e in piazza a morirci. Non è nient’altro, se non la storia che si ripete.
E sarò un menestrello, un giullare, sarò anche uno che non ci capisce molto, ma non penso d’esser troppo lontano da una visione plausibile della questione.
E poi nemmeno mi interessa, a dirla tutta, vederla in modo plausibile. Le versioni plausibili sono, quasi sempre, quelle ufficiali, che non sono mai quelle reali. Per me è chiaro come il sole che, se crei il disagio, se crei differenza, poi questa cosa ti si ritorce contro.

Comunque, stavo ascoltando una bella canzone. E, in linea di massima, per tutto il giorno ho pensato ad altro. Come sempre, come ogni volta, volevo scrivere d’altro.
Forse non lo faccio perché, se lo scrivessi, diventerebbe vero, reale, e magari preferisco tenere tutto così, sopito, nascosto, in quell’incubatrice che è lo stomaco quando si riempie di farfalle.
Non lo so.
A me piace ballare, andare a vedere cosa c’è in fondo alla notte.
Mi piace il latte di mandorla.
Mentre il mondo brucia, mi piace ridisegnarmi nella mente il colore d’un paio d’occhi.

Incondizionatamente, incommensurabilmente, mandorlescamente vostro

Ed.

We Were Promised Jetpacks “Moving Cloks Run Slow”

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