Ogni tanto penso che non la faremo mai la rivoluzione.
Principalmente perché credo sia più facile abbattersi, piuttosto che reagire.
Voglio dire, rinunciare è sicuramente meno estenuante o faticoso, almeno dal punto di vista mentale.
Dormire, intendo, alla fine è semplice.
E forse è per questo che dico che non ci riusciremo, di tanto in tanto.
Mi viene sonno, mi passa la voglia, mi scema la rabbia.
Non la rabbia rancorosa, sia chiaro. E’ quella atavica, quella antica: fondamentalmente sono uno incazzato con la morte, che prima o poi si piglia tutti e, siccome non voglio farmi prendere vivo, porto avanti una mia personale resistenza alla rassegnazione.
Voglio dire, non è triste morire già rassegnati, abituati al ripetersi ciclico dei giorni, delle circostanze? Morire pensando che ci sarà sempre un altro giorno per fare ciò che non s’è fatto, non è triste, più triste della morte stessa?
Ogni tanto mi viene sonno e mi rassegno, accetto le cose che accadono senza contestarle. Va così, mi dico, imitando un po’ quello che si dicono tutti.
Va così, domani andrà meglio.
Solo che non è vero, perché domani è un altro giorno, con altre sensazioni, altri accadimenti. Domani non esiste finché non diventa oggi.
Poi, non so, magari non è tanto che non la faremo, quanto che non sono capace io di farla.
Alla fine è facile dire sempre le cose agli altri, senza mai considerare se stessi.
Facile come percepire solo i propri bisogni, senza mai considerare quelli altrui.
Sono azioni speculari, penso, nelle quali nessuno ha ragione.
Tanto finisce sempre che, speculari o meno, si sta tutti di merda allo stesso modo.
Alcuni lo sanno, altri no.
E’ la triste storia dei tempi moderni.
[Franz Nicolay “This is not a pipe”]
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