Clementine E Il Ritorno Alla Musica- Una Non Recensione

sarahjaffenaturecover

 

Ho ricominciato ad ascoltare musica, ormai è un dato di fatto.
Ero restio ad ammetterlo, ma, denotando la pila di CD che si è accumulata negli ultimi mesi sulla mia scrivania, credo sia ora di prenderne atto.
Non so quando sia scattata di nuovo la scintilla – in realtà lo so, ma mi basta saperlo io – fatto sta che a un tratto sono uscito dalla mia comfort zone.
Sono sempre stato abbastanza eclettico, nel senso che, se una cosa è fatta bene, o anche se semplicemente mi piace, la ascolto, senza troppi paletti o schemi rigidi.
Oggi, per dire, sono passato dal Jazz, alla Techno, all’Electro-Pop, al Punk e infine al Post-Hardcore. Se i suoi sono belli, pieni, o se i testi sono scritti bene, io ascolto, lascio scorrere e, nel frattempo, lavoro.
Erano un po’ di anni che mi ero seduto sui soliti quattro suoni, a dire la verità: finita la fase di sperimentazione adolescenziale e tardo adolescenziale, mi ero per così dire fermato nel mio porto sicuro, che a grandi linee si può identificare con l’alternative rock, o indie rock che dir si voglia. Era difficile smuovermi da lì.
Un giorno, era più o meno ottobre scorso, ne avevo un po’ le palle piene di ascoltare la solita roba su spotify, e così mi buttai nel vuoto selezionando un gruppo mai sentito, che si chiama This Will Destroy You e che fa progressive rock strumentale. Così feci partire l’omonimo CD – che, vi giuro, è una bomba assoluta e voi dovreste assolutamente recuperarlo per capire di cosa vi sto parlando – e iniziai ad ascoltare.
Da lì non mi fermai più: Transit, Being As An Ocean, Touché Amoré, Turnover, Catfish And The Bottlemen, Caso, Le Furie e potrei continuare ancora ad elencarvi i nomi dei gruppi che ho scoperto, tutti diversi tra loro e che ora, a turno, risuonano dalle casse della mia macchina quando vado e torno dal lavoro.

Poi, non chiedetemi perché, mi resi conto che, però, non avevo voci femminili nel mio porta CD e questo, devo ammettere, è una cosa che mi ha sempre pesato, anche perché le voci femminili mi sono sempre piaciute di più rispetto a quelle maschili. Voglio dire, se penso alle Hole, o ai Distillers mi viene da dire che tutto il resto è noia.
Così, più o meno tre settimane fa, ho preso una decisione: avrei ascoltato solo musica suonata da donne, finché non ne avrei scoperte abbastanza -devo ancora capire quando sarà questo abbastanza -.
E quindi, detto fatto, sono saltate fuori Anna Calvi, Camp Cope, Laura Gibson, Roisin Murphy, Shura, Betty Who, Haim, Regina Spektor, Kat Edmonson, Robim Mckkelle, Kate Nash, Seeker Lover Keeper, Basia Bulat, Diane Birch, Lauren Aquilina, Anomie Belle.
Tutte diverse tra loro, tutte a mio parere veramente brave.

Ma è a Sarah Jaffe che, ultimamente, mi sono veramente affezionato. A lei, e al suo Suburban Nature, un album che definire strepitoso è dire poco.
Un album che, al suo interno, contiene Clementine, una canzone con una melodia che ti scioglie e un testo che ti fa un po’ male.
E lei lo canta benissimo, cresce in modo perfetto insieme alla musica e tu vorresti che la canzone non finisse mai, ci vorresti vivere dentro. Immagini di viaggiare nella Death Valley, la California che scivola fuori dal finestrino, e la meta che si avvicina e, più si avvicina, più il tuo cuore salta un battito.
Clementine è una di quelle canzoni che definirei in 35mm, perché sono perfette per la pellicola, per un film, perché mentre le ascolti non riesci a non immaginare, a non vagare con la mente seduto sulla sedia.
Sarah Jaffe ti prende e ti porta lontano. Ti prende di peso e ti porta con lei. E tu, mentre lei ti prende, ti senti sicuro e vorresti non essere lasciato mai.
Esattamente come capita con certe persone, in certi momenti.
Come capita con le persone che salgono in piedi su una sedia per abbracciarti, che detta così sembra una cagata, ma, se mai vi capiterà, capirete quanto ci si possa sentire al sicuro in quei momenti.
Che, poi, sono quelle stesse persone che riescono a ricordarti che, una volta, avevi una curiosità innata per la musica e un genere solo non ti bastava.

E quindi eccoci qui, un’ottantina di CD in più e, considerando ogni CD come un luogo, una varietà straordinaria di posti da far risuonare fuori dalle casse.
E, in tutti questi luoghi, Sarah Jaffe che, ora come ora, mi sento di definire il luogo più bello.
Quello in cui, ogni volta, voglio rimanere di più.

 

[Sarah Jaffe “Clementine”]

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