Chester – Shadow Of The Day

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Sono seduto davanti a questo monitor da una mezz’ora buona e sto ascoltando canzoni che non facevo suonare da un bel pezzo in camera mia.
Sono dovuto andare a riprenderle, quasi ad inseguirle, con uno strano senso d’urgenza addosso, quasi che qualcosa mi stesse scivolando via dalle mani.
In questa mezz’oretta di ascolto spasmodico, col social aperto sulla home, ho notato una cosa che mi ha fatto sorridere: tutti quelli che in questo momento stanno condividendo canzoni dei Linkin Park e hanno quell’età che va più o meno dai 26 ai 30 anni, non hanno condiviso la stessa canzone. Non c’è, in sostanza, una canzone che si ripeta due volte nella mia home, ma si passa invece da Easier To Run, Crawling, passando da Point Of AuthorityPapercut, le versioni remix di Reanimation, fino a What I’ve Done, Bleed It Out, Valentine’s Day. E a condividerle sono giovani adulti con ascolti musicali tra i più vari ed etereogenei, non fan sfegatati.
Come con Chris Cornell – peraltro molto amico di Chester, che è da sempre solo Chester, senza cognome – ognuno sta condividendo il suo pezzo, cosa molto diversa rispetto a quando muore di vecchiaia un artista del passato, che chi ha la nostra età non ha potuto vivere a pieno e quindi si finisce per condividere sempre quei tre o quattro pezzacci memorabili, che conoscono tutti, che sono in qualunque compilation di storia della musica e che le radio passano ancora. Certo, magari c’è l’amico un po’ più nerd che conosce le discografie a memoria e ti tira fuori il brano sconosciuto, ma è raro, per non dire un miraggio.
Oggi invece le più svariate persone stanno postando le più svariate canzoni, ognuno con una citazione, una frase, una foto, qualcosa. E quello che sembra di poter intuire è che non stanno postando delle canzoni, ma se stessi, o il ricordo che hanno di se stessi quando, praticamente bambini, ascoltavano quelle musiche.

Ci sono le droghe ponte, dicono, e secondo me ci sono anche i gruppi ponte. Ed è questo che i Linkin Park sono stati per noi, incoscienti ragazzetti di scuola media inferiore, che il giorno prima conoscevano solo La Vasca di Alex Britti e il giorno dopo aver visto il video di uno che urlava su grosse teste di pietra arrivavano ai Korn, i Papa Roach, i System Of A Down, i Gogol Bordello. Per poi andare per la propria strada.
Chi a scoprire i Nirvana, i Soundgarden, Pearl Jam; chi a scivolare verso il metal, metal core, nu metal; chi verso rotte più sofisticate fatte di Creep Paranoid Android; tutti, in ogni caso, al di fuori di quella zona canonica fatta di musica da radio e grandi tormentoni, o quantomeno con un piede dentro ed uno fuori.
Qualunque giovane adulto odierno, se gli dici Linkin Park, ti sa dire almeno un titolo e forse, con l’aiuto della canzone in sottofondo, cantare il testo.
E non so i miei coetanei, ma io oggi, verso le 20.55, mi sono dovuto fermare un attimo e pensare al mondo prima, quello di quando per noi il lavoro era roba da grandi, le vacanze duravano tre mesi, si giocava a nascondino ed eravamo ancora lontanissimi da droghe, alcol, sesso, storie d’amore andate bene, male, a mezzo e mezzo; lontanissimi dai collocamenti, dalle trasferte, dai voucher, dagli straordinari non pagati e dagli orari forfettari, dalle relazioni che si disgregano perché uno vive a Milano e l’altro a Londra, o Berlino, Parigi e cazzo non ci si riesce mai a vedere.
Per trenta secondi io credo che la quasi totalità dei miei coetanei sia tornata mentalmente a quel prima in cui non esisteva niente, niente se non il gioco e la politica era roba da grandi, ancora da venire, e la musica la si ascoltava come cosa totalmente nuova, perché non ne si conosceva nulla, come del resto non si conosceva ancora nulla della vita.
Ed è quell’innocenza che ha scricchiolato dentro di me, in un’altra sua parte, questa sera.
Come se il me bimbo spensierato di 17 anni fa si fosse ridotto di un altro pezzo, come se le vecchie polaroid si fossero sbiadite un altro pochino, lasciando la vivida paura che possano ingiallire del tutto.
Fa tutto parte della crescita, però ogni tanto ti rendi conto di quanta strada hai fatto dal tuo primo passo e un po’ ti tremano le gambe, perché se ti guardi indietro è veramente tanta. E non ti manca nulla, ma quando se ne va qualcuno che quell’epoca l’ha segnata con la sua presenza, con i suoi testi, con la sua voce ti rendi conto che è davvero finito e che davvero non tornerà più, perché non ci sarà nemmeno l’occasione di risentire quelle parole ad un concerto.
E sono contento, contentissimo di averli visti in Germania, qualche anno fa.
Almeno una volta, posso dire di esserci stato, lì a tornare bambino.

Il mio ricordo è Shadow Of The Day. Nel video c’erano gli scontri e io all’epoca avevo quasi 19 anni ed ero molto più incazzato di quanto non sia adesso.
Andavo poco a scuola, prendevo molti treni.
Storie di tramonti e riverberi sul mare, con questa canzone nelle orecchie e i piedi sospesi nel vuoto del porto antico, in quella città che se non la conosci sa di marcio, se la conosci non te la togli più di dosso, con tutta la sua rabbia, le sue ferite, la sua piazza e tutto quello che in questa piazza, ogni volta, ti morde lo stomaco.
E ora c’è un po’ meno, è un po’ più sbiadito.
Almeno per stasera me lo tengo strettissimo al petto, per poi lasciarlo andare come è giusto.

Bella Chester.
It mattered to you, in the end.

[Corsivo finale non del tutto mio]

 [Linkin Park “Shadow Of The Day”]

4 risposte a "Chester – Shadow Of The Day"

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